Francesco Dall’Ongaro
Francesco Dall’Ongaro nasce a Tremeacque di Mansuè il 19 giugno 1808 da genitori osti.
La famiglia Dall’Ongaro da secoli viveva a Ghirano riparando e costruendo imbarcazioni fluviali nello squero di Tremeacque. Nel 1818, per favorire gli studi di Francesco, i Dall’Ongaro si trasferiscono a Oderzo dove rimangono fino al 1822 quando va distrutto in un incendio il panificio paterno.
A Venezia, dove la famiglia era finalmente emigrata, Francesco entra in seminario, venendo espulso per indisciplina nel 1827. Viene ordinato sacerdote senza incardinazione (ovvero senza obbligo di residenza in una parrocchia) nel 1832 a Padova dove, nel frattempo, aveva frequentato i circoli universitari. Aderisce, intanto, al pensiero mazziniano di autodeterminazione e libertà dei popoli all’insegna della repubblica.
Dedicatosi alla predicazione, per l’ostilità del clero e della polizia asburgica che lo sorvegliava, è costretto a darsi all’insegnamento privato, finendo a Este (Vicenza), Adro (Brescia), Parenzo (Istria), Vienna e Trieste. Nel capoluogo giuliano nel 1836 entra a far parte del circolo di intellettuali triveneti che aveva fondato “La Favilla”, rivista letteraria e di varia attualità che diresse dal 1838 al 1846 favorendo la collaborazione, fra gli altri, di Graziadio Isaia Ascoli (primo glottologo italiano) e Caterina Percoto (massima letterata friulana) della quale rimase amico tutta la vita.
Nel 1847 è espulso da Trieste per attività antiasburgica. Dopo aver girato l’Italia (Milano, Siena, Roma) partecipando alla preparazione dei moti del 1848-1849, nel 1848 è a Venezia quando gli Asburgo vengono cacciati dalla città lagunare e rinasce la Repubblica Veneziana retta da Daniele Manin. Combatte a Treviso e a Palmanova. È direttore del quotidiano repubblicano “Fatti e parole” quando, per divergenze di vedute con Manin, è invitato a lasciare Venezia.
Nel 1849 l’amico Giuseppe Mazzini lo convoca a Roma dove si è instaurata la Repubblica. Dall’Ongaro è eletto all’Assemblea Costituente Romana, è proconsole di Senigallia e direttore de “Il monitore”, la gazzetta ufficiale della Repubblica. Conclusasi l’esperienza repubblicana, che aveva convogliato su Roma molti dei massimi pensatori politici italiani e uomini d’azione fra i quali Giuseppe Garibaldi (rientrato appositamente dal Sudamerica), Goffredo Mameli (che diede la vita) e Carlo Pisacane (generale di Stato maggiore), nel 1849 ripara in esilio nel Canton Ticino.
Espulso dalla Svizzera, come molti altri patrioti italiani in seguito al moto mazziniano di Milano (1853), emigra a Bruxelles (Belgio).
L’imperatore di Francia Napoleone III, nutrendo stima per l’uomo e per il letterato (in quegli anni incontrò una fortuna internazionale la traduzione della “Fedra” di Racine), lo convoca a Parigi affidandogli una missione diplomatica: convincere il Regno del Piemonte ad impegnarsi finanziariamente nell’impresa di realizzare il canale di Panama. Dopo 10 anni di esilio rientra così in Italia, ma deluso dall’esperienza mazziniana matura posizioni democratiche più moderate, fino ad accettare l’opzione sabauda.
Nel 1861 è nominato professore titolare della prima cattedra di letteratura italiana drammatica del Regno d’Italia a Firenze. Nel suo salotto sull’Arno passano molti dei più promettenti giovani letterati fra i quali i siciliani Luigi Capuana e Giovanni Verga e il giovane Carlo Lorenzini (il Collodi che scriverà “Pinocchio”).
Trasferito il suo insegnamento a Napoli, nella città partenopea muore il 10 gennaio 1873. L’orazione funebre ufficiale è pronunciata da Francesco De Sanctis, il più illustre critico letterario italiano della storia.
(Testo di Giacinto Bevilacqua)